Isabella Angelantoni, like an impatient spider in an unfinished frame
Matteo Guarnaccia
If the cities Marco Polo visited were never the same as those imagined by the Emperor, those presented by the artist Isabella Angelantoni are even more distant than those described by Italo Calvino.
The book serves as a backdrop of words offered to a “donna faber”, who by her very nature is more able to build a city than to discover one in order to protect its poetic and existential metamorphosis. The artist’s delicate “settlements” have nothing to do with archeology or conquests, instead they are like a lovely game of mirrors reflecting the creator/creation, a concept which has previously been interpreted by Didone/Cartagine, Bouctou/Timbouctou, Partenope/Naples. Isabella is like a modern-day Sherezade, and she has taken “that” book, year after year, map after map, stretching it out in her memories and gestures until it becomes a tenuous graphic framework, or a rhythmic and symbolic warehouse, from which she can use new narrative tools to guide us towards a necessary materialism. Isabella has produced a collection of work about memories of the future, evoking Buckminster Fuller and Polynesian Mattang, Mirò and unfinished tapestries, Oskar Schlemmer and shoots of twining plants, Harry Kramer and tracks left in the sand.
Extending Giacometti’s shadow beyond what is visible, Isabella uses a strong and joyful hand to mend a wounded reality. She scratches and caresses space, and with the elegant confidence of an illusionist, she smuggles bouquets of lines across the borders of two and three dimensionality. She outlines absences, and gives shape to autonomous bodies which are poised to free themselves from their generative ideas. Isabella’s drawings of cities play with the sense of potential, they suggest drama and heroic deeds and provide an over-sized sense of paradox.
Isabella was introduced to Calvino’s work at a very young and tender age and embraced the literary device with lightness and has given it space, applying it to a willing utopia. The cities this architect of new worlds has invited us to visit are the fruit of a woman who, while life rushed around her, like a spider, quietly spun her web in the shadows and in all the corners of her heart.
Isabella Angelantoni, come un ragno impaziente nel finito incompiuto
Matteo Guarnaccia
Se “le città visitate da Marco Polo erano sempre diverse da quelle pensate dall’imperatore”, quelle presentate dall’artista sono ancor più lontane da quelle descritte da Italo Calvino. Il libro è solo un paravento di parole offerto a una donna faber – per sua natura più portata a fondare città che a scoprirle – per proteggere le sue metamorfosi poetiche ed esistenziali. I suoi delicati insediamenti non hanno nulla a che vedere né con l’archeologia né con la conquista, ma si riverberano nell’amorevole gioco di specchi creatrice/creato, già interpretato da Didone/Cartagine, Bouctou/ Timbouctuou, Partenope/Napoli.
Lei, come una moderna Sherazade, ha preso “quel” libro e, anno dopo anno, mappa dopo mappa, lo ha asciugato nella memoria e nei gesti, sino a ridurlo a una tenue trama grafica, a un magazzino ritmico e simbolico, da cui attingere nuovi attrezzi narrativi da convogliare verso un materialismo necessario.
L’artista mette in scena lo spettacolo del ricordo del futuro, tra Buckminster Fuller e i mattang polinesiani,
Mirò e i lavori a maglia mai portati a termine, Oskar Schlemmer e i butti del convolvolo, Harry Kramer e le tracce lasciate sulla sabbia dal passaggio di un coleottero. Prolungando le ombre di Giacometti ben oltre il visibile, Isabella rammenda con mano ferma e felice la realtà ferita. Graffia e accarezza lo spazio, contrabbandando, con l’elegante confidenza di un illusionista, bouquet di linee oltre la frontiera tra bidimensionalità e tridimensionalità.
E traccia assenze, dà corpo a entità autonome, pronte a staccarsi dal suo pensiero generativo.
Le sue città, appena schizzate, giocano con la latenza, suggeriscono drammi e imprese eroiche, offrono
spazi fuori misura al paradosso.
Esposta sin dalla più tenera età all’opera di Calvino, lei ha accolto l’artificio letterario con leggerezza e ha saputo “dargli spazio”, applicarlo a un’utopia volenterosa. Le città in cui la nostra progettista di mondi ci invita a sostare, sono il frutto del lavoro di una donna che, mentre la vita scorreva tutt’intorno, “come un ragno silenzioso ha filato la sua tela nell’ombra, in tutti gli angoli del suo cuore”.